Politica\Sfera di cristallo, maneggiare con cura

Michael Moore, regista e scrittore statunitense, è riconosciuto in questo periodo come l’unico personaggio di un certo spessore, o forse il solo in assoluto, ad aver predetto la vittoria di Trump alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti d’America già dai primi mesi dell’estate 2016.

La sua previsione era subito entrata in contrasto con tutte le agenzie dei sondaggi elettorali e le più illustri testate giornalistiche del pianeta, le quali si trovavano coralmente d’accordo sulla vittoria della Clinton.

Ma perché tutto questo polverone? Non era possibile, attraverso dei semplici segnali, interpretare e riuscire a comprendere ciò che stava per accadere? Evidentemente no.

E’ il caso del New York Times, giornale celeberrimo di cui ognuno ha sentito parlare almeno una volta nella propria vita, il quale, insieme a molti altri, nel giorno dell’elezione di Trump è rimasto a bocca aperta.

I media, esponenti della cosiddetta “post-truth”, avevano difatti descritto più volte i sostenitori dell’attuale presidente come “individui che non hanno il minimo contatto con la realtà”. Si sbagliavano, era proprio l’inverso.

I mezzi di comunicazione, giornali e tv, hanno fallito in quella che è la loro funzione di base.

Perché gli elettori sono stati propensi all’ascolto delle proposte di Trump piuttosto che badare agli scheletri nel suo armadio colmo di bugie e di inosservanze?

Chi ha subito lo scaccomatto (nonostante il voto popolare sia stato un po’ più indirizzato verso la candidata democratica) non è stata solo la Clinton, ma anche il sistema di informazione globale che avrebbe dovuto accorgersi, almeno in parte, magari con lo sviluppo di opinioni differenti da parte di ognuno, del malcontento che aspettava solo di palesarsi attraverso una scheda elettorale.

L’articolo di ammenda del Nyt è stato chiamato “Dewey Defeats Truman” Lesson for the Digital Age. Si tratta infatti proprio di una lezione, che si fa carico del compito di cambiare il modo di pensare e di operare dei giornali. Lo stesso titolo, non a caso, era stato utilizzato dal Chicago Daily Tribune in un articolo uscito nelle edicole il 3 novembre 1948, il quale dava per scontato il trionfo del repubblicano Dewey sul democratico Truman, che invece vinse.

“Nessuno è riuscito a prevedere una notte come questa. E’ stato qualcosa di più di un fallimento”- aggiunge il Nyt.

La verità è proprio questa, non si è solo sbagliato un sondaggio ma si è mancata l’individuazione del disappunto di una gran parte dell’elettorato.

 



 

Quest’ultimo infatti, in particolare quello di alcuni stati e della fascia sociale mediana, si è sentito escluso da una ripresa economica che evidentemente coinvolgeva ben altri strati sociali, ma anche ingannato da alcune trattative commerciali (ad esempio quella col Canada), che ritiene dannose per il proprio posto di lavoro.

Il problema di fondo non rimane tuttavia confinato nel fallimento relativo alla previsione errata (che fino al martedì sera prima dell’ elezione vedeva la probabilità di vittoria di Hillary Clinton all’84%) ma anche a quanta fiducia ora i cittadini riporranno negli stessi media che hanno raccontato loro più fandonie di Trump stesso.

In conclusione la sfera di cristallo dei social e dei mezzi di comunicazione si è rotta, non ci si era accorti della sua fragilità, e si è preferito tendere occhi e orecchie verso ciò che poteva essere bella favola, ma oggi sappiamo rimarrà tale.

Di conseguenza, anche le certezze di chi ha seguito la vicenda sono in frantumi.

“Sicuramente qualcosa si è rotto- termina il New York Times - Può essere aggiustato, ma cerchiamo di farlo una volta per tutte”.

 Ulivi Giacomo