Come diventare giornalista

Il caporedattore del TGR Marche si presenta ai redattori del GaliNews: «siate attenti ai particolari».

 

Ancona – «Siete 27 in quest’aula. Delle due ragazze che sono appena entrate una si sta chiedendo sono appoggiarsi, l’altra non sa dove mettere lo zaino». Così è iniziato, venerdì 20 gennaio al Liceo scientifico “Galilei”, il tanto atteso incontro tra Maurizio Blasi e i ragazzi del GaliNews: il caporedattore del TGR Marche ha subito mostrato la sua grande e costante attenzione ai particolari, dichiarando che è la prima dote che deve avere un giornalista.

L’incontro era il primo di un ciclo di formazione giornalistica organizzato dal prof. Valerio Cuccaroni, responsabile del laboratorio di giornalismo del Liceo assieme al prof. Marco Riccini. Scopo del ciclo è mettere i redattori davanti alla realtà del mestiere, tanto ammirato quanto arduo.

Perché dopo tutto è giusto sognare, ma bisogna lavorare sodo ed essere realisti: nessuno regala niente a questo mondo. Così è stato anche per Maurizio Blasi, attuale caporedattore del TGR Marche, impiegato della Rai da 39 anni, quando in quell'ormai lontano 1978 decise, per pura curiosità, di tentare il concorso, che non solo vinse con il massimo del punteggio, ma che lo ha anche condotto alla direzione del più seguito dei telegiornali della nostra regione.

Quello che subito si nota di lui è la sua compostezza, davanti ad ogni situazione. «Se volete diventare caporedattori, vi servono due cose: una mano forte che tenga il timone, e un grande orecchio per ascoltare le persone.» Dal momento in cui è entrato in aula è subito saltato all’occhio il suo spirito da osservatore minuzioso: ha passato in rassegna ogni persona, ogni volto, ogni sguardo senza perdere un dettaglio e avendo sempre presente il tempo a disposizione. «Fate un esercizio: guardate l’ora, poi mettete via l’apparecchio su cui l’avete vista e fate altro. Dopo un po’ calcolate quanto tempo è passato e controllate»: ecco il consiglio dell’esperto cronista, che non può perdere neanche un minuto del suo temo. D’altronde, direte voi, dopo 39 anni dovrà pur aver imparato qualcosa... no? Tantissimi e utilissimi sono stati, quindi, i consigli (di vita e non) che il nostro ospite ha gentilmente seminato lungo il suo intervento: «Imparate a comprendere le persone, anche quando non parlano. Siate attenti alla gestualità del vostro interlocutore, analizzate i particolari per riuscire a catturare la sua attenzione.»

Blasi ha 61 anni, ma è in grado di pizzicare tutte le corde capaci di suscitare l’interesse dei nostri ragazzi. In classe non si sente volare una mosca, gli occhi sono spalancati e chiedono ancora. E ancora. E ancora.

Così arriviamo al momento clou dell'incontro. «Sì, certo, lei è un giornalista, certo ha fatto il concorso per la Rai... ma era il 1978, dovrà pur essere cambiato qualcosa, no? E con la crisi come la mettiamo? E chi me lo dice che riesco ad ottenere un lavoro? E se ci fossero un milione di giornalisti più competenti di me?» Queste sono le domande che emergono silenziosamente dagli sguardi attoniti e timorosi degli aspiranti giornalisti e che Blasi coglie al volo. Così, con l'organizzazione che lo caratterizza, inizia a snocciolare i 3 step che un giornalista deve compiere prima di poter essere chiamato tale.

 

Step numero 1: «Studiare e leggere, leggere e studiare»

 

Apprendere l'importanza del testo scritto come testimonianza di ciò che è passato, che va interpretato ed attualizzato. Ascoltare chi ha più esperienza di noi e fare tesoro delle loro parole. Aprirsi all'infinità di mondi che può creare la nostra immaginazione, se ben indirizzata.

«Non permettete che si perda la memoria» (non permettiamo che si commettano gli stessi sbagli, aggiungerei.)

 

Step numero 2: Iscriversi ad una scuola di Giornalismo.

 

Per i più bravi potrebbe essere accessibile anche solamente dopo aver conseguito il diploma del liceo scientifico (che nonostante sia prettamente focalizzato sulle materie scientifiche, ci lascia una buonissima preparazione). Per i cosiddetti “indecisi” (categoria che conta molti appartenenti nel nostro Paese) il consiglio è quello di prendere una laurea breve in una materia che ci appassiona (psicologia, come ingegneria: non per forza lettere) e tentare in seguito di entrare in una delle 14 scuole di giornalismo in giro per lo stivale. Prerequisito fondamentale: credere nelle proprie capacità. I posti sono pochi, la selezione è feroce: solo chi è davvero motivato e sicuro del proprio talento riesce a farcela.

Una volta seguiti i due anni di corsi e dato l'esame finale si entra a far parte dell’Albo Nazionale dei Giornalisti professionisti, con il conseguente rilascio del famigerato tesserino da Giornalista, che permetterà di poter scrivere articoli e lavorare in una redazione a tempo pieno (diversamente dal giornalista pubblicista). Ed è proprio ora che arriva il difficile...

 

Step numero 3: Farsi sotto

 

Se già diventare giornalisti sembra un’impresa impossibile tanto quanto superare il test d’ammissione a Medicina, quello che viene dopo in confronto sarà semplice come scalare l’Everest. Ma non bisogna arrendersi. C’è da tirar fuori la grinta, la rabbia e impugnare penna (o meglio, la tastiera) per far sentire la propria voce e piano piano alzare la mano, facendosi notare tra la folla: “probabilmente per te ho la stessa importanza che ha una formica, ma qui ci sono anch'io e muoio dalla voglia di raccontarti quello che c’è nella mia testa.”

Questo è ciò che ha fatto Blasi, che all’età di 20 anni ha lavorava in una radio chiamata “Città campagna” che collegava Fermo, la sua città natale, con i paesini limitrofi immersi nel nulla. Lo scopo era quello di aiutare, attraverso un call center attivo 24 ore su 24, le ragazze che lavoravano a cottimo per le industrie di calzature, le quali, oltre che sottopagate e sfruttate, erano anche a rischio di vita, dovendo maneggiare sostanze nocive. E pensare che adesso se accendiamo la radio non riusciamo neanche ad ascoltare una canzone decente... ma questo è un altro discorso.

Blasi ha avuto il coraggio di denunciare quella situazione e se ce l’ha fatta lui, che tra l'altro non è stato neanche raccomandato (specifica), perché non ce la potremmo fare noi?

 

La chiave per aprire quella porta esiste. E per trovarla bisogna... mettersi in gioco.

 

Marta Caporaletti

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